La mia Terra di Mezzo

Tra un fonendo ed una tazza, scorre la mia Terra di Mezzo, il mio presente.....Le porte? Si possono aprire, spalancare sul mondo, ma si possono anche chiudere, per custodire preziosi silenzi e recondite preghiere....





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giovedì 30 novembre 2017

Visione dell'Inferno 2/ Santa Veronica Giuliani

 
Santa Veronica Giuliani (Orsola) nacque il 27 dicembre 1660. Entrò nel monastero delle Clarisse Cappuccine di Città di Castello (PG). Morì il 9 luglio 1727. Una visione dell'inferno, avuta nel 1696, è così raccontata:
 
«Parvemi che il Signore mi facesse vedere un luogo oscurissimo; ma dava incendio come fosse stata una gran fornace. Erano fiamme e fuoco, ma non si vedeva luce; sentivo stridi e rumori, ma non si vedeva niente; usciva un fetore e fumo orrendo, ma non vi è, in questa vita, cosa da poter paragonare. In questo punto, Iddio mi dà una comunicazione sopra l'ingratitudine delle creature, e quanto gli dispiaccia questo peccato. E qui mi si dimostrò tutto appassionato, flagellato, coronato di spine, con viva, pesante croce in spalla.
 
Così mi disse: "Mira e guarda bene questo luogo che non avrà mai fine. Vi sta, per tormento, la mia giustizia ed il rigoroso mio sdegno". In questo mentre, mi parve di sentire un gran rumore. Comparvero tanti demoni: tutti, con catene, tenevano bestie legate di diverse specie. Le dette bestie, in un subito, divennero creature (uomini), ma tanto spaventevoli e brutte, che mi davano più terrore che non erano gli stessi demoni. Io stavo tutta tremante, e mi volevo accostare dove stava il Signore. Ma, contuttoché vi fosse poco spazio, non potei mai avvicinarmi più. Il Signore grondava sangue, e sotto quel grave peso stava. O Dio! Io avrei voluto raccogliere il Sangue, e pigliare quella Croce, e con grand'ansia desideravo il significato di tutto. In un istante, quelle creature divennero, di nuovo, in figura di bestie, e poi, tutte furono precipitate in quel luogo oscurissimo, e maledicevano Iddio e i Santi. Qui mi si aggiunge un rapimento, e mi parve che il Signore mi facesse capire, che quel luogo era l'inferno, e quelle anime erano morte, e, per il peccato, erano divenute come bestie, e che, fra esse, vi erano anche dei religiosi [...].
 
Mi pareva di essere trasportata in un luogo deserto, oscuro e solitario, ove non sentivo altro che urli, stridii, fischi di serpenti, rumori di catene, di ruote, di ferri, botti così grandi, che, ad ogni colpo, pensavo sprofondasse tutto il mondo. E io non aveva sussidi ove rivolgermi; non potevo parlare; non potevo invitare il Signore. Mi pareva che fosse luogo di castigo e di sdegno di Dio verso di me, per le tante offese fatte a Sua Divina Maestà. E avevo davanti di me tutti i miei peccati [...]. Sentivo un incendio di fuoco, ma non vedevo fiamme; altro che colpi sopra di me; ma non vedevo nessuno. In un subito, sentivo come una fiamma di fuoco che si avvicinava a me, e sentivo percuotermi; ma niente vedevo. Oh! Che pena! Che tormento! Descriverlo non posso; e anche il sol ricordarmi di ciò, mi fà tremare. Alla fine, fra tante tenebre, mi parve di vedere un piccolo lume come per aria. A poco a poco, si dilatò tanto. Mi sembrava che mi sollevasse da tali pene; ma non vedevo altro»
 
Un'altra visione dell'inferno è del 17 gennaio 1716. La Santa racconta che in detto giorno fu trasportata da alcuni angeli nell'inferno: «In un batter d'occhio mi ritrovai in una regione bassa, nera e fetida, piena di muggiti di tori, di urli di leoni, di fischi di serpenti [...]. Una grande montagna si alzava a picco davanti a me ed era tutta coperta di aspidi e basilischi legati assieme [...]. La montagna viva era un clamore di maledizioni orribili. Essa era l'inferno superiore, cioè l'inferno benigno. Infatti, la montagna si spalancò e nei suoi fianchi aperti vidi una moltitudine di anime e demoni intrecciati con catene di fuoco. I demoni, estremamente furiosi, molestavano le anime le quali urlavano disperate. A questa montagna seguivano altre montagne più orride, le cui viscere erano teatro di atroci e indescrivibili supplizi.
 
Nel fondo dell'abisso vidi un trono mostruoso, fatto di demoni terrificanti. Al centro una sedia formata dai capi dell'abisso. Satana ci sedeva sopra nel suo indescrivibile orrore e da lì osservava tutti i dannati. Gli angeli mi spiegarono che la visione di Satana forma il tormento dell'inferno, come la visione di Dio forma la delizia del Paradiso. Nel frattempo, notai che il muto cuscino della sedia erano Giuda ed altre anime disperate come lui. Chiesi agli angeli di chi fossero quelle anime ed ebbi questa terribile risposta: "Essi furono dignitari della Chiesa e prelati religiosi». E in quell'abisso, ella vide precipitare una pioggia di anime... E una voce che grida: "Sarà sempre così. Sempre, sempre, sempre".
 
Tratto da CentroSanGiorgio
 
visione dell'inferno di Santa Teresa D'Avila 

mercoledì 29 novembre 2017

Visione dell'Inferno 1 /Santa Teresa D'Avila

Santa Teresa di Gesù, nata ad Avila in Spagna il 28 marzo 1515, è una dei Santi che ha visto l'inferno. Lo racconta essa stessa nella vita scritta da lei in questi termini:
 
«Un giorno mentre ero in orazione; mi trovai tutt'a un tratto trasportata intera nell'inferno. Compresi che Dio mi voleva far vedere il luogo che i demoni mi avevano preparato, e che io mi ero meritato con i miei peccati. Fu una visione che durò pochissimo, ma vivessi anche molti anni, mi sembra di non poterla più dimenticare.
 
L'ingresso mi pareva un cunicolo molto lungo e stretto, simile a un forno assai basso, buio e angusto; il suolo tutto una melma puzzolente piena di rettili schifosi. In fondo, nel muro, c'era una cavità scavata a modo di nicchia, e in essa mi sentii rinchiudere strettamente. E quello che allora soffrii supera ogni umana immaginazione, né mi sembra possibile darne solo un'idea perché cose che non si sanno descrivere (...) Sentivo nell'anima un fuoco che non so descrivere, mentre dolori intol­lerabili mi straziavano orrendamente il corpo. Nella mia vita ne ho sofferto moltissimi, dei più gravi che secondo i medici si possano subire sulla Terra, perché i miei nervi si erano rattrappiti sino a rendermi storpia, senza dire dei molti altri di diverso genere, causatimi in parte dal demonio. Tuttavia, non sono nemmeno da paragonarsi con quanto allora ho sofferto, specialmente al pensiero che quel tormento doveva essere senza fine e senza alcuna mitigazione. Ma anche questo era un nulla innanzi all'agonia dell'anima. Era un'oppressione, un'angoscia, una tristezza così profonda, un così vivo e disperato dolore che non so come esprimermi. Dire che si soffrano continue agonie di morte è poco, perché almeno in morte pare che la vita ci venga strappata da altri, mentre qui è la stessa anima che si fà in brani da sé. Fatto sta che non so trovare espressioni né per dire di quel fuoco interiore né per far capire la disperazione che metteva il colmo a così orribili tormenti. Non vedevo chi me li faceva soffrire, ma mi sentivo ardere e dilacerare, benché il supplizio peggiore fossero il fuoco e la disperazione interiore. Era un luogo pestilenziale, nel quale non vi era più speranza di conforto, né spazio per sedersi o distendersi, rinserrata com'ero in quel buco praticato nella muraglia.
 
Orribili a vedersi, le pareti mi gravavano addosso, e mi pareva di soffocare. Non v'era luce, ma tenebre fittissime; eppure quanto poteva dar pena alla vista si vedeva ugualmente nonostante l'assenza della luce: cosa che non riuscivo a comprendere. Per allora Dio non volle mostrarmi di più, ma in un'altra visione vidi supplizi spaventosissimi, fra cui i castighi di alcuni vizi in particolare. A vederli parevano assai più terribili, ma non mi facevano tanta paura perché non li sperimentavo, mentre nella visione di cui parlo il Signore volle farmi sentire in ispirito quelle pene ed afflizioni, come se le soffrissi nel corpo [...]. Sentir parlare dell'inferno è niente. Vero è che io l'ho meditato poche volte perché la via del timore non è fatta per me, ma è certo che quanto si medita sui tormenti dell'inferno, su quello che i demoni fanno patire, o che si legge nei libri, non ha nulla a che fare con la realtà, perché totalmente diversa, come un ritratto messo a confronto con l'oggetto ritrattato. Quasi neppure il nostro fuoco si può paragonare con quello di laggiù. Rimasi spaventatissima e lo sono tuttora mentre scrivo, benché siano già passati quasi sei anni, tanto da sentirmi agghiacciare dal terrore qui stesso dove sono. Mi accade intanto che quando sono afflitta da qualche contraddizione o infermità, basta che mi ricordi di quella visione perché mi sembrino subito da nulla persuadendomi che ce ne lamentiamo senza motivo. Questa fu una delle più grandi grazie che il Signore m'abbia fatto, perché mi ha giovato moltissimo non meno per non temere le contraddizioni e le pene della vita che per incoraggiarmi a sopportarle, ringraziando il Signore d'avermi liberata da mali così terribili ed eterni, come mi pare di dover credere».
 
Di Padre Antonio di Monda, ofm  
Tratto da CentroSanGiorgio  

martedì 28 novembre 2017

La realtà dell'Inferno

(Miki De Gootaboom)
Di don Leonardo Maria Pompei
 
Cosa sia davvero l’Inferno non possiamo nemmeno lontanamente immaginarlo. Tutta la tribolazione e l’angoscia, il fuoco, il gelo, le acque che sommergono, la fame, la sete, le ferite, la morte, le piaghe non sono altro che un mimino saggio dell’eterno supplizio che divora i dannati. Sono in molti in questi nostri sciagurati tempi “post-moderni” a non credere all’esistenza dell’Inferno o ad immaginarne la totale assenza in esso di anime umane (solo i demoni starebbero in questo “luogo” di perdizione), oppure ridurlo ad una sorta di nuovo limbo dopo essersi troppo frettolosamente sbarazzati di quello tradizionale (facendo coincidere l’Inferno con il semplice stato di privazione della visione beatifica, che è esattamente ciò che caratterizza la condizione di chi muore privo della grazia santificante ma senza colpe proprie e attuali).
 
Tutto ciò, peraltro, anzitutto in barba ai chiarissimi, espliciti (oltre che simbolici), crudi e reiterati riferimenti all’inferno a cui Gesù in persona non mancò più volte -come vedremo- di ricorrere, per ammonire circa l’esistenza di esso e la reale possibilità (non certo voluta da Dio, ma possibile a causa della protervia degli uomini) di un’eterna dannazione. A dispetto, inoltre, di tutti gli altri dati del Nuovo e anche dell’Antico Testamento che, senza alcun margine di dubbio, parlano (anche questo lo vedremo) dell’esistenza dell’Inferno come realtà purtroppo “abitata” da chi vi precipita rifiutando la salvezza.
 
Contraddicendo, infine, la più antica tradizione della Chiesa nonché il Magistero ufficiale della Chiesa che ha definito come dogma di fede l’esistenza dell’inferno come luogo destinato a chi “muore in stato di peccato mortale” (Denz 1002, 1306) senza essersi pentito.
 
L’obiezione più comune contro l’esistenza stessa dell’Inferno oppure a sostegno di un suo fantasioso “essere vuoto” (dato contraddetto dalle parole esplicite di Gesù, sia quelle sul giudizio universale - Mt 25,41 - sia quelle sul ricco cattivo e il povero Lazzaro - Lc 16,23) verte su un’errata comprensione della Divina Misericordia. Dio, che è buono, non potrebbe tollerare che un pover’uomo, peraltro spesso ignaro dell’esistenza reale dell’inferno, possa precipitare in uno stato di eterno tormento senza possibilità di redenzione alcuna. Questa obiezione rivela la propria molteplice speciosità alla luce di poche ed elementari considerazioni.
 
- Anzitutto il fatto che la misericordia divina raggiunge solo chi riconosce il peccato come tale, se ne pente sinceramente (col proposito di mai più commetterlo) e ne chiede umilmente perdono a Colui che, per ottenere la remissione dei peccati, ha subito la Passione e la Morte di croce.
 
- Secondo, l’esistenza della Divina Giustizia a fianco della Divina Misericordia. Divina Giustizia che esige che chi, liberamente e volontariamente, si è chiuso ostinatamente nel rifiuto della salvezza, consegnando la sua anima nelle mani di satana fino alla morte (che lo trova esattamente in questo stato), abbia ciò che liberamente ha scelto: la separazione da Dio e la soggezione a colui a cui, peccando, ha dato - volente o nolente - culto e gloria per tutta la sua vita terrena. E che è molto cattivo.
 
- Terzo, non si può dire di essere del tutto ignoranti (e, ancor più raramente, incolpevolmente ignoranti) dell’esistenza dell’inferno, quando, solo per fare un banale esempio, un’opera quale la Divina Commedia di Dante Alighieri è universalmente conosciuta in tutto il mondo ed è più che noto che il “materiale dottrinale” da cui il Vate ha attinto per tale capolavoro non è altro che la rivelazione e la tradizione della Chiesa. Dinanzi ad una tale informazione è dovere assai grave della persona vagliare e verificare bene, informarsi e confrontarsi, riflettere e ponderare, trattandosi di cosa gravissima e destinata ad incidere non per qualche tempo o su qualche vita, ma per tutta l’eternità e, potenzialmente, su ogni vita che rifiuti di accogliere la salvezza operata da Dio. 
 
L’inferno non è dunque affatto la negazione della Divina Misericordia, ma l’affermazione della libertà dell’uomo e del rispetto che dinanzi ad essa ha Dio stesso, con tutte le responsabilità che un suo esercizio sbagliato comporta, il quale è da Dio rispettato ma mai né benedetto, né approvato. Altrimenti non avrebbe rivelato i dieci comandamenti e non ci avrebbe donato la Santa Madre Chiesa incaricata, tra le alte cose, di predicare la verità non solo nelle materie di fede ma anche in ciò che attiene ai costumi e questo semplicemente per consentire alle persone di scampare dal pericolo della dannazione e raggiungere la “meta della nostra fede, cioè la salvezza delle anime” (1Pt 1,9).
 
Nell’insegnamento di san Tommaso d’Aquino, perfettamente radicato nella dottrina tradizionale della Chiesa, le pene dell’inferno - che sono eterne come eterno è l’inferno medesimo - sono di una duplice natura: la pena del danno (consistente nell’eterna privazione della visione beatifica di Dio, che è il motivo principale per cui ogni anima è creata) e la pena del senso (cioè dei veri e propri tormenti, percepiti anche nello stato di anima separata, alcuni comuni a tutti i dannati altri “personali”, cioè dipendenti dal numero, la specie e la gravità dei peccati commessi in vita). Queste, secondo il Dottore Angelico, sulla base dei dati testuali offerti soprattutto dalla Sacra Scrittura sono le pene del senso comuni a tutti i dannati.
 
- Anzitutto la pena del fuoco eterno. Tale fuoco non è metaforico ma materiale (S. Th., q. 97, a. 5) e la sua reale esistenza e consistenza si fonda sui seguenti testi biblici: Ger 17:4: “Dovrai, perfino, ritirare la tua mano dalla tua eredità, quella che ti avevo dato, perché ti farò servire i tuoi nemici in un paese che non conosci. Un fuoco, infatti, avete acceso nell'ira mia che in eterno rimarrà acceso!”; Mt 18:8: “Se la tua mano o il tuo piede ti è di scandalo, taglialo e gettalo via da te. E' meglio per te entrare nella vita monco o zoppo, che con due mani o due piedi essere gettato nel fuoco eterno”; Mt 25:41: “Allora dirà anche a quelli della sua sinistra: “Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli!”; Giuda 1,7: “Così come Sodoma e Gomorra e le città circonvicine che, avendo prevaricato nello stesso modo e avendo seguito passionalmente una sessualità diversa da quella naturale, costituiscono un esempio ammonitore, soffrendo la pena del fuoco eterno”.
 
- Insieme al fuoco (reale, ed al tempo stesso simbolo di tutti i tormenti) ci sarà un violentissimo freddo, ed i dannati “passeranno da un violentissimo calore ad un violentissimo freddo senza provarne alcun refrigerio” (S. Th., q. 97, a. 1, ad 3). I testi sul gelo (“stridore di denti”) sono i seguenti: Mt 8,12; Mt 13,42; Mt 13,50; Mt 22,13; Mt 24,51; Mt 25,30 (i testi sono riportati più in basso).
 
- Ci sarà poi la pena del verme che non muore, che si identifica col rimorso di coscienza. La metafora del verme serve ad indicare che il rimorso nasce, come i vermi, dalla putredine del peccato e tormenta l’anima, come fa il verme col suo morso (S. Th., q. 97, a. 2). Testi biblici: Mc 9:48: “[…] nella Geenna, dove il loro verme non muore ed il fuoco non si estingue”. Is 66,24: “Uscendo vedranno i cadaveri degli uomini che si sono ribellati contro di Me; poiché il loro verme non morirà, il loro fuoco non si spegnerà e saranno un abominio per tutti”. Gdt 16,17: “Guai alle genti che insorgono contro il mio popolo: il Signore onnipotente li punirà nel giorno del giudizio, immettendo fuoco e vermi nelle loro carni e piangeranno nel tormento per sempre”. Sir 7,17: “Umilia profondamente la tua anima, perché castigo dell’empio sono fuoco e vermi”. I dannati avranno in eterno il rimorso di quello che hanno fatto e la coscienza che sarebbe stato perfettamente evitabile se solo avessero agito diversamente e accolto la Divina Misericordia.
 
- Poi ci sarà il pianto, cioè l’afflizione interiore profondissima, identificabile con la disperazione (S. Th., q. 97, a. 3). Anche essa è provata dai seguenti testi biblici: Mt 8,12: “[…] mentre i figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre esteriori; là sarà pianto e stridore di denti”. Mt 13,42: “[…] perché li gettino nella fornace ardente. Là sarà pianto e stridore di denti”. Mt 13,50: “[…] e li getteranno nella fornace ardente. Là sarà pianto e stridore di denti”. Mt 22:13: “Allora il re disse ai suoi servitori: «Legatelo mani e piedi e gettatelo nelle tenebre esteriori: là sarà pianto e stridore di denti”. Mt 24:51: “[…] e lo farà a pezzi, facendogli toccare la stessa sorte che meritano gli ipocriti: là sarà pianto e stridore di denti”. Mt 25:30: “[…] e il servo infingardo, gettatelo nelle tenebre esteriori; là sarà pianto e stridore di denti”.
 
- Infine ci saranno le tenebre o oscurità, in modo che ci sarà un buio insopportabile, ma in cui, purtroppo, si vedranno in una certa penombra solo le cose capaci di affliggere il cuore (tra cui la bruttezza dei demoni); e ciò per disposizione divina. Testi biblici: Mt 22,13: “Allora il re disse ai suoi servitori: «Legatelo mani e piedi e gettatelo nelle tenebre esteriori: là sarà pianto e stridore di denti»”. Mt 25,30: “E il servo infingardo, gettatelo nelle tenebre esteriori; là sarà pianto e stridore di denti”. Mt 8,12: “[…] mentre i figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre esteriori; là sarà pianto e stridore di denti”. 2 Pt 2,17: “Costoro sono sorgenti senz'acqua, nubi in preda al vento della tempesta: è riservato loro il buio delle tenebre”. Giuda 1,13: “[…] onde selvagge del mare che spruzzano la schiuma della loro vergogna, stelle erranti alle quali è riservato il buio delle tenebre eterne!Tb 14,10: “Vedi, figlio, quanto fece Nadab a Achikar, suo padre adottivo; non l'ha fatto scendere vivo sotto terra? Ma Dio ripiegò l'infamia in faccia al colpevole: Achikar ritornò alla luce, mentre Nadab entrò nelle tenebre eterne per aver tentato di far morire Achikar”.
 
I santi hanno sempre raccomandato di meditare con estrema attenzione queste terribili ma salutari verità. Non pensarci o farsene beffa non fa altro che male a noi e bene a quegli esseri inqualificabili che esistono solo per portare altri esseri intelligenti nella loro meritata condanna. La Rivelazione non è stata data da Dio per scherzo. E nostro Signore Gesù Cristo ha sofferto Lui stesso le pene dell’inferno non perché non avesse altro di meglio da fare, ma per risparmiarle a noi. A condizione che accogliamo la sua salvezza e abbandoniamo per sempre il peccato mortale, che dell’inferno rappresenta la porta di ingresso che solo il pentimento sigillato dal Sangue di Gesù può chiudere.
 
Tratto dal blog di don Leonardo Maria Pompei DominaMeaetMaterMea

giovedì 23 novembre 2017

Il peccato originale ed il Diavolo

 
390 Il racconto della caduta (degli Angeli)(GENESI cap.3) utilizza un linguaggio di immagini, ma espone un avvenimento primordiale, un fatto che è accaduto all'inizio della storia dell'uomo. 507(Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes). La Rivelazione ci dà la certezza di fede che tutta la storia umana è segnata dalla colpa originale liberamente commessa dai nostri progenitori (Adamo ed Eva). 508(Concilio di Trento, Sess. 5a, Decretum de peccato originali)
 
 La caduta degli angeli
 
391 Dietro la scelta disobbediente dei nostri progenitori c'è una voce seduttrice, che si oppone a Dio, 509 la quale, per invidia, li fa cadere nella morte. 510 La Scrittura e la Tradizione della Chiesa vedono in questo essere un angelo caduto, chiamato Satana o diavolo.511 La Chiesa insegna che all'inizio era un angelo buono, creato da Dio. «Diabolus enim et alii dæmones a Deo quidem natura creati sunt boni, sed ipsi per se facti sunt mali –Il diavolo infatti e gli altri demoni sono stati creati da Dio naturalmente buoni, ma da se stessi si sono trasformati in malvagi». 512(Concilio Lateranense IV (anno 1215), Cap. 1, De fide catholica)
 
392 La Scrittura parla di un peccato di questi angeli.513 Tale «caduta» consiste nell'avere, questi spiriti creati, con libera scelta, radicalmente ed irrevocabilmente rifiutato Dio e il suo Regno. Troviamo un riflesso di questa ribellione nelle parole rivolte dal tentatore ai nostri progenitori: «Diventerete come Dio» (Gn 3,5). «Il diavolo è peccatore fin dal principio» (1 Gv 3,8), «padre della menzogna» (Gv 8,44).
 
393 A far sì che il peccato degli angeli non possa essere perdonato è il carattere irrevocabile della loro scelta, e non un difetto dell'infinita misericordia divina. «Non c'è possibilità di pentimento per loro dopo la caduta, come non c'è possibilità di pentimento per gli uomini dopo la morte».514 (San Giovanni Damasceno, Expositio fidei 18)
 
394 La Scrittura attesta la nefasta influenza di colui che Gesù chiama «omicida fin dal principio» (Gv 8,44), e che ha perfino tentato di distogliere Gesù dalla missione affidatagli dal Padre. 515 «Il Figlio di Dio è apparso per distruggere le opere del diavolo» (1 Gv 3,8). Di queste opere, la più grave nelle sue conseguenze è stata la seduzione menzognera che ha indotto l'uomo a disobbedire a Dio.
 
395 La potenza di Satana però non è infinita. Egli non è che una creatura, potente per il fatto di essere puro spirito, ma pur sempre una creatura: non può impedire l'edificazione del regno di Dio.
 
Sebbene Satana agisca nel mondo per odio contro Dio e il suo regno in Cristo Gesù, e sebbene la sua azione causi gravi danni –di natura spirituale e indirettamente anche di natura fisica– per ogni uomo e per la società, questa azione è permessa dalla divina provvidenza, la quale guida la storia dell'uomo e del mondo con forza e dolcezza. La permissione divina dell'attività diabolica è un grande mistero, ma «noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio» (Rm 8,28).
 
Il primo peccato dell'uomo
 
397 L'uomo, tentato dal diavolo, ha lasciato spegnere nel suo cuore la fiducia nei confronti del suo Creatore 516 e, abusando della propria libertà, ha disobbedito al comandamento di Dio. In ciò è consistito il primo peccato dell'uomo. 517 In seguito, ogni peccato sarà una disobbedienza a Dio e una mancanza di fiducia nella sua bontà.
 
399 La Scrittura mostra le conseguenze drammatiche di questa prima disobbedienza. Adamo ed Eva perdono immediatamente la grazia della santità originale. 519 Hanno paura di quel Dio 520 di cui si sono fatti una falsa immagine, quella cioè di un Dio geloso delle proprie prerogative. 521
 
400 L'armonia nella quale essi erano posti, grazie alla giustizia originale, è distrutta; la padronanza delle facoltà spirituali dell'anima sul corpo è infranta; 522 l'unione dell'uomo e della donna è sottoposta a tensioni; 523 i loro rapporti saranno segnati dalla concupiscenza e dalla tendenza all'asservimento. 524 L'armonia con la creazione è spezzata: la creazione visibile è diventata aliena e ostile all'uomo. 525 A causa dell'uomo, la creazione è soggetta alla schiavitù della corruzione. 526 Infine, la conseguenza esplicitamente annunziata nell'ipotesi della disobbedienza 527 si realizzerà: l'uomo tornerà in polvere, quella polvere dalla quale è stato tratto. 528 La morte entra nella storia dell'umanità. 529
 
401 Dopo questo primo peccato, il mondo è inondato da una vera «invasione» del peccato: il fratricidio commesso da Caino contro Abele; 530 la corruzione universale quale conseguenza del peccato; 531 nella storia d'Israele, il peccato si manifesta frequentemente soprattutto come infedeltà al Dio dell'Alleanza e come trasgressione della Legge di Mosè; anche dopo la redenzione di Cristo, fra i cristiani, il peccato si manifesta in svariati modi. 532

mercoledì 22 novembre 2017

Padre Sosa ed il Diavolo

“Abbiamo creato figure simboliche, come il diavolo, per esprimere il male”. “Dottrina è una parola che non mi piace molto, porta con sé l’immagine della durezza della pietra, invece la realtà umana è molto più sfumata, non è mai bianca o nera, è in uno sviluppo continuo”.

Queste parole non vengono da un membro qualunque della Chiesa. Chi le ha pronunciate è quello che viene chiamato il "Papa nero" della Chiesa, ovvero il Generale dei gesuiti padre Arturo Sosa, uno dei consiglieri del Santo Padre. Si sperava che quest'ultimo si fermasse a “bisognerebbe incominciare una bella riflessione su che cosa ha detto veramente Gesù...a quel tempo nessuno aveva un registratore per inciderne le parole” (QUI) e che per queste parole, datate 18 febbraio 2017, chiedesse scusa, ritrattando. Purtroppo, così non è stato. Anzi, ha rincarato la dose. Scandalose, le sue parole citate all'inizio, ma per nulla sorprendenti, dati i tempi non facili che corrono nella Chiesa. Da vari decenni, per rimanere in tema, molte predicazioni e studi cattolici dimenticano il diavolo. Alcuni teologi non solo tacciono su questo personaggio richiamato più volte da Gesù, ma spesso ne parlano come di una metafora banale: un frutto della fantasia pagana, penetrato poi nel giudaismo. Considerando il ruolo che ricopre, risulta difficile credere che padre Sosa non si renda conto del drammatico errore in cui può indurre i credenti.

(Testo di Daniele Barale QUI)

La posizione di padre Sosa è falsa ed inaccettabile, in totale controtendenza con la dottrina professata dalla Chiesa in duemila anni di storia. Non è una novità che un sacerdote neghi l’esistenza del demonio come entità dotata di volontà, per anni infatti il ministero degli esorcisti ha lottato affinché gli venisse riconosciuto uno status ufficiale.

La Bibbia ed il Diavolo

Stavolta faccio parlare del Diavolo, Daniele Barale con un articolo tratto da QUI :
 
"Del resto, chiunque abbia una conoscenza anche minimale del Nuovo Testamento avrebbe un po’ di remore prima di dimenticare le parole nette della Prima Lettera di Pietro (ovvero proprio di colui a cui Gesù stesso affidò la sua chiesa, sulla quale “le porte degli inferi non prevarranno”): “Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede, sapendo che i vostri fratelli sparsi per il mondo subiscono le stesse sofferenze di voi” ((I lettera 5, 8-9).
 
Ecco perché la Chiesa ha istituito anche la funzione dell’esorcistato per allontanare il demonio dalle persone che egli ha posseduto e dai luoghi che egli ha infestato.
Tutta la Bibbia, a cominciare dal Libro della Genesi, parla dell’esistenza del diavolo e degli angeli ribelli, della loro cacciata dal Cielo e della loro azione volta a impedire l’amicizia dell’uomo con Dio.
 
Per non parlare del Nuovo Testamento: 27 libri canonici, tra cui i 4 Vangeli sinottici, in cui Cristo rivela che la propria missione è liberare gli uomini dal potere di Satana e quindi dal peccato. Compresi i numerosi esorcismi che Egli ha fatto, come nel caso dell'indemoniato di Gerasa (San Marco 5, 1-20), le tre volte in cui ha respinto il diavolo, le tentazioni durante il digiuno di 40 giorni nel deserto (San Matteo 4,1-11, San Marco 1,12-13 e San Luca 4,1-13)."

martedì 21 novembre 2017

L'inferno ed il Diavolo

 

Il Diavolo, ormai per tanti cristiani cattolici e soprattutto per quelli progressisti e modernisti, e purtroppo anche per tanti sacerdoti e grandi teologi, non esiste, è solo una rappresentazione simbolica del male inteso in senso astratto ed impersonale. Di conseguenza, per essi, non esistendo il Diavolo non esiste neppure il luogo dove egli dimora con i suoi seguaci, cioè l’inferno. La Sacra Scrittura però ci ricorda spesso questa tremenda realtà ultraterrena ed eterna. In particolare nei Vangeli sono descritti tanti episodi dove Gesù Cristo, che è venuto al mondo per distruggere le opere del Diavolo(1 Gv 3,8)incontra gli spiriti immondi che lo riconoscono(cfr. Mc 1,23)e gli parlano per bocca dei posseduti(cfr.Mt8,28ss). 
L’autorità del Signore Gesù, unitamente alla sua Divinità, si rivela particolarmente nei miracoli ed in questi episodi, in cui Egli dispone sempre in maniera assoluta e vincente del loro destino: gli spiriti del Male vengono cacciati, vinti e questi, sconfitti per sempre, ne riconoscono sia l'autorità che la Divinità. Gesù è il primo esorcista nella storia della Chiesa, il primo che, sulla terra, ha affrontato, combattuto e sconfitto Satana e la schiera di tutti gli Angeli decaduti e, affinché la sconfitta fosse perpetuata nei secoli, fino alla fine del mondo, ha dato anche ai suoi Apostoli e discepoli la facoltà di combattere e continuare a vincere il Maligno.
 
Alla luce dei tanti episodi che narrano di Satana e degli altri spiriti maligni, sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento, tutti coloro che negano l’esistenza del Diavolo, considerandolo soltanto come un’idea astratta del male che serve solamente per impaurire l’uomo, chiaramente si sbagliano. Riferendo dei demoni, la Sacra Scrittura ci parla di esseri che hanno mente, volontà, libertà e intraprendenza. Lo confermano la Tradizione ed il ministero della Chiesa. Quindi, chi nega il Diavolo, nega una verità di fede, nega la Tradizione, il Magistero della Chiesa ed in ultimo il peccato e non è capace di comprendere l’opera della redenzione di Cristo. Non è un caso se Egli al principio della sua attività pubblica, dopo il battesimo nel fiume Giordano, si sia preparato ad affrontare il Demonio, ritirandosi in solitudine nel deserto per quaranta giorni e quaranta notti, corroborato dalla preghiera e dal digiuno.
Un passo del Vangelo molto significativo, dove Gesù parla espressamente della realtà dell'inferno e del Maligno è quello di Matteo al capitolo 25 versetti 31-46:
 
 

"Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. […]. Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. […]  E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna".

venerdì 17 novembre 2017

Fuoco amico


Ripropongo ancora una breve intervista fatta a Mons. Antonio Livi, teologo e professore, circa gli ultimi fatti che lo vedono coinvolto. 
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Professor Livi, Padre Giovanni Cavalcoli, in una recente intervista, sostiene di non capire la vostra correzione filiale, che ritiene un pugno nello stomaco al Papa. Che ne pensa?
 
“Padre Cavalcoli è un dotto teologo domenicano, lo rispetto. Ognuno ha le sue idee ed è libero di professarle. Non intendo polemizzare un’altra volta con lui, visto anche il suo diverso comportamento a seconda delle circostanze. Nei miei confronti cambia spesso idea.  Me ne farò una ragione. In ogni caso la ”correzione  filiale”, che io ho sottoscritto assieme ad altri sessantuno teologi, non è un pugno nello stomaco del Papa, ma addirittura un servizio filiale al Santo Padre, perché confermi la fede dei suoi figli invece di indurli in confusione riguardo alla validità della dottrina sui Comandamenti e sui Sacramenti. Coloro che si sono rivolti rispettosamente al Papa con questa intenzione non hanno commesso una colpa nei riguardi della Chiesa, ma anzi hanno compiuto un obbligo di coscienza”.
Mons. Livi
 
Perchè?
 
Aiutare chi governa a parlare e agire con chiarezza evangelica è un’espressa esigenza comunitaria, lo dice  e lo esige il Vangelo, sia quando comanda di esercitare correzione fraterna, sia quando pone come esempio la correzione che san Paolo fece al primo Papa, san Pietro, che aveva avuto un comportamento ambiguo rispetto all’universalità della redenzione operata da Cristo.  La Chiesa insegna da sempre che è un’opera  di misericordia correggere chi è in errore, sia quando si tratta di errori dottrinali, sia quando si tratta di errori pastorali”.
 
Intanto non le è stato consentito recentemente di tenere una conferenza già programmata a Modena..
 
Purtroppo devo denunciare una persecuzione contro di me e contro tutti quelli che come me non si allineano alla “dittatura del relativismo”,  che sembra il  pensiero dominante, non solo in politica ma anche in teologia. In una parrocchia di Modena mi avevano invitato a parlare dei problemi pastorali derivanti dall’ideologia del relativismo, ma ho dovuto cancellare la conferenza su  ordine del Vescovo”.
 
Amoris Laetitia è eretica?
 
“La “Correctio filialis” non lo dice, e io non l’ho mai detto. Anzi, ho polemizzato con chi parla della possibilità di un Papa eretico. In se stessa, la “Amoris laetitia” è un importante documento post-sinodale che non contiene affermazioni formalmente eretiche, però dà luogo ad interpretazioni e prassi che sono indubbiamente eretiche. Tutto sommato, Cavalcoli dice la stessa cosa, non differisce nella sostanza. Il problema vero sono i collaboratori del Papa, obiettivo delle critiche mie e di Cavalcoli è questo. Gli fanno scrivere e dire cose che si rivelano poi eretiche e lui il Papa non chiarisce, non corregge e non smentisce.”
 
Qual è la sua censura su Amoris Laetitia?
 
“Per tutto quello che ho detto finora, la correzione filiale non va assolutamente considerata un atto di ostilità al Papa, anzi è davvero un atto di amore per la Chiesa di Cristo, nella quale il Papa, chiunque egli sia, è il Vicario di Cristo e ha l’autorità di magistero e di governo che gli ha concesso Cristo. Come le dicevo, però, il Pontefice è circondato da pessimi collaboratori che sono chiaramente eretici. Con quella Correzione filiale abbiamo semplicemente voluto invitare il Papa a parlare finalmente con la necessaria chiarezza, a non creare altra confusione.
 
Amoris Laetitia,  purtroppo, è un documento volutamente ambiguo perché va in senso opposto al Magistero di Giovanni Paolo II, alla dottrina contenuta nel Catechismo e soprattutto al dogma cattolico. L’effetto negativo di questa apparente negazione del dogma sui sacramenti (Battesimo, Matrimonio, Penitenza, Eucaristia) lo riscontriamo nelle conseguenze pratiche”.
 
 
Chiesa in confusione?
 
“L'ho detto e scritto varie volte, anche nel mio blog (Fidesetratio.it). Per quello che si constata vedendo le differenti posizioni delle conferenze episcopali del mondo cattolico, è certamente una Chiesa in piena confusione e allo sbando. Denuncio queste cose per il bene della Chiesa (cioè per la fede di ciascun cattolico) e non per criticare nessuno. Siamo in preda anche ad una deriva luterana”.
 
Che cosa pensa il professor Livi quando  vede Lutero nel foglietto della messa in Vaticano e sente affermazioni come quella che qualifica la Riforma  come opera dello Spirito Santo?
 
”Un'enorme sciocchezza che però è anche un'offesa gravissima allo Spirito Santo, insomma una bestemmia.
 
Lutero è un eretico e non è possibile demolire quello che ha detto il Concilio di Trento.
 
In quanto alle ripetute esaltazioni della figura storica di  Lutero, esse sono un insulto alla fede  cattolica.
 
Ma questo fa parte degli errori pastorali, cioè pratici, di un Papa molto mal consigliato. Jorge Mario Bergoglio è vittima di molti cattivi consiglieri, perché è stato sempre troppo sensibile agli slogan della  'teologia della liberazione' e non ha mai avuto molta stima della teologia dogmatica e delle sue premesse logiche e metafisiche”.
 
Intervista di
Bruno Volpe e Michele M. Ippolito
 
Tratto da QUI

giovedì 16 novembre 2017

Combatto contro una Chiesa ideologica

Raffaello 'La Filosofia' Stanza della Segnatura
 
Mons. Antonio Livi, nato a Prato nel 1938 è sicuramente uno dei decani della teologia cattolica contemporanea. Le sue numerose pubblicazioni vertono essenzialmente sulla verità logica, tema che è al centro del dibattito contemporaneo (neopositivismo logico, ermeneutica, razionalismo critico). L’appassionato impegno filosofico di Livi spiega perché questo pensatore ormai ottuagenario non sia mai stato un accademico intento a guardare con distacco alle vicende della società di oggi. Oltre all’insegnamento di storia della filosofia moderna e contemporanea presso l’Università statale di Perugia e di filosofia della conoscenza presso l’Università Lateranense di Roma (che è chiamata «l’università del Papa»), Livi ha fondato la casa editrice 'Leonardo da Vinci', dirige battagliere riviste come 'Sensus communis' e di critica teologica come 'Fides Catholica' e anima cenacoli culturali capaci di intervenire nel dibattito sui valori civili e religiosi da salvaguardare in politica.
In ogni aspetto di questa sua attività, intesa come intervento nella società, Livi si è sempre servito della sua riconosciuta competenza scientifica come logico. A questo riguardo, il testo fondamentale è Filosofia del senso comune (2010), tradotto in francese, in inglese e in spagnolo, cui si aggiunge recentemente Le leggi del pensiero (2016). Applicando poi questa sua dottrina ai problemi dell’ermeneutica teologica con Vera e falsa teologia (2017), Livi è diventato un punto di riferimento nella denuncia di quella teologia filoluterana che caratterizza il riformismo post conciliare.
 
Professor Livi, vuole descriverci in sintesi il suo percorso di studi?
«Sono stato discepolo del grande filosofo francese Étienne Gilson, del quale ho tradotto e commentato Il realismo, metodo della filosofia. Egli mi ha fatto comprendere che la verità di qualsiasi tesi filosofica dipende dal suo coerente collegamento con il vero punto di partenza della riflessione filosofica che è l’esistenza reale degli enti. Il rifiuto del realismo ha reso la speculazione filosofica suggestiva ma priva di fondamento, sfociando inevitabilmente nell’ateismo e nel nichilismo».
Tra le sue tante attività di docenza, di ricerca e di apostolato quale considera la più importante per i nostri tempi?
«Considero importante per i tempi in cui viviamo aiutare tutti coloro che hanno veramente a cuore la verità dell’esistenza a usare rettamente la ragione, a possedere gli strumenti logici dell’autentico discernimento. I miei lavori scientifici possono e debbono servire a tutti per saper discernere le verità assolute, metafisiche e morali, da quelle relative, fisiche, biologiche, psicologiche, sociologiche, economiche, politiche. Mentre le verità assolute sono sempre presenti alla coscienza di tutti e forniscono l’unica base possibile per un dialogo costruttivo tra le culture, le verità relative dipendono dalle contingenze storiche e da interessi di parte, sicché non possono mai essere universalmente condivise
Quando si pretende di imporre come assolute le verità relative, come fanno i fautori del pensiero unico al servizio del nuovo ordine mondiale, non c’è più vero dialogo tra le diverse istanze democratiche ma solo propaganda e colonialismo culturale. In rapporto alla fede cristiana, io combatto tutti i fondamentalismi, che sono sempre un uso pragmatico della verità rivelata, pretendendo di poter dedurre da verità religiose assolute, quelle che sono garantite dalla parola di Dio, certe conseguenze politiche che in realtà rispondono solo alle proprie opinioni ideologiche. Come filosofo e come credente mi ribello a questo vizio di imporre le proprie idee in nome di Dio. Il peccato contro lo Spirito Santo non si commette solo quando si nega una verità esplicitamente rivelata da Dio, ma anche quando si etichettano come “Vangelo” le proprie ipotesi umane, la propria visione delle questioni socio-politiche».
Ma allora quali sono i principi logici che Lei vuole riproporre per evitare oggi lo scientismo, il fanatismo ideologico, il fondamentalismo religioso?
«Il rispetto di quello che i filosofi analitici americani hanno chiamato epistemic justification, la giustificazione epistemica. Ciò significa, in pratica, che ogni discorso che pretenda di essere recepito in pubblico come verità deve esibire le proprie credenziali logiche e non affidarsi soltanto agli strumenti della persuasione retorica o allo sbandieramento della propria o altrui autorità in materia».
È vero che i principali esponenti della teologia contemporanea sono affetti da relativismo dogmatico ed etico e da un pericoloso antropocentrismo?
«Lo confermo. Io sostengo questa mia tesi, non per partito preso o per invidia del successo di altri, ma proprio perché questi altri hanno costruito e imposto nella Chiesa un’ideologia fondata su un intrico di sofismi e sulla pretesa autorità teologica di pensatori luterani dell’Ottocento, come Georg Hegel e Friedrich Schelling, o del Novecento, come Paul Tillich, Rudolf Bultmann, Karl Barth. I miei studi di storia della filosofia e della teologia mi hanno consentito di dimostrare che “il re è nudo”. In questo caso il re è il teologo gesuita Karl Rahner, il cui antropocentrismo è non solo pericoloso ma è deleterio per la fede cattolica. Rahner tenta di giustificare la “svolta antropologica della teologia” fingendo prima di rifarsi a san Tommaso d’Aquino e poi rifacendosi pedissequamente a Hegel e a Martin Heidegger
Questa inadeguata giustificazione della sua nuova teologia, basata solo sull’autorità di pensatori che nella Chiesa cattolica non dovrebbero avere autorità dogmatica, si riflette poi sull’ingiustificata autorità dogmatica che Rahner ha esercitato e continua a esercitare sui teologi cattolici e anche sui vescovi di tutto il mondo».
FidesetRatio

 

mercoledì 15 novembre 2017

Concilio Vaticano II: una questione spinosa


L'attuale situazione di crisi senza precedenti della Chiesa è paragonabile alla crisi generale del IV secolo, quando l'arianesimo aveva contaminato la stragrande maggioranza dell'episcopato, assumendo una posizione dominante nella vita della Chiesa.
Dobbiamo cercare di affrontare questa attuale situazione con realismo e, proprio per questo, con una visione delle cose che tiene conto della Provvidenza. Dobbiamo pensare e parlare con un profondo amore per la Chiesa, nostra madre, che vive la Passione di Cristo a causa di questa tremenda e generale confusione dottrinale, liturgica e pastorale.
Dobbiamo rinnovare la nostra fede nel credere che la Chiesa è nelle mani sicure di Cristo e che Egli interviene sempre per rinnovarla nei momenti in cui la barca di Pietro sembra capovolgersi, come nel caso evidente dei nostri giorni.

Per ciò che concerne l'atteggiamento verso il Concilio Vaticano II, dobbiamo evitare due estremi: da una parte, il rifiuto generalizzato (come i sedevacantisti e una parte della Fraternità di San Pio X - FSSPX), dall'altra la sua assolutizzazione, come se tutto ciò che il Concilio ha detto fosse "irreformabile", in quanto dotato del carattere dell'infallibilità.
Il Vaticano II era un'assemblea legittima presieduta dai Papi e dobbiamo mantenere verso questo Concilio un atteggiamento rispettoso. Tuttavia, ciò non significa che ci sia proibito esprimere fondati dubbi o rispettosi suggerimenti di miglioramento su alcuni elementi specifici, sempre fondati sulla intera tradizione della Chiesa e sul Magistero costante.

Le dichiarazioni dottrinali tradizionali e costanti del Magistero nel corso dei secoli hanno la precedenza e costituiscono un criterio di verifica sull'esattezza delle dichiarazioni magisteriali posteriori.
Le nuove affermazioni del Magistero devono in linea di principio essere più esatte e più chiare, ma non dovrebbero mai essere ambigue e visibilmente contrastanti con precedenti dichiarazioni magisteriali.

Le affermazioni del Vaticano II che risultino ambigue devono essere lette e interpretate secondo le affermazioni di tutta la Tradizione e del Magistero costante della Chiesa.
In caso di dubbio, le affermazioni del Magistero costante (i precedenti concili e documenti dei Papi, il cui contenuto si dimostra una tradizione sicura e ripetuta nei secoli nello stesso senso) prevalgono su quelle dichiarazioni oggettivamente ambigue o nuove del Vaticano II, che difficilmente concordano con specifiche affermazioni del magistero precedente (ad esempio, il dovere dello Stato di venerare pubblicamente Cristo, re di tutte le società umane; il vero senso della collegialità episcopale rispetto al primato petrino e al governo universale della Chiesa; la dannosità di tutte le religioni non cattoliche e la loro pericolosità per l'eterna salvezza delle anime).

Il Vaticano II deve essere visto e ricevuto come è e come era veramente: un concilio prevalentemente pastorale. Questo concilio non aveva l'intenzione di proporre nuove dottrine o di proporle in forma definitiva. Nelle sue dichiarazioni il concilio ha confermato in gran parte la dottrina tradizionale e costante della Chiesa.

Alcune delle nuove dichiarazioni del Vaticano II (ad es. collegialità; libertà religiosa; dialogo ecumenico e interreligioso; atteggiamento verso il mondo), che non hanno un carattere definitivo ma sono apparentemente o realmente non concordanti con le dichiarazioni tradizionali e costanti del Magistero, devono essere completate da spiegazioni più esatte e da integrazioni più precise di carattere dottrinale.
Non aiuta neppure un'applicazione cieca del principio dell'ermeneutica della continuità, dal momento che vengono create interpretazioni forzate, che non sono convincenti e che non sono utili per giungere ad una più chiara comprensione delle immutabili verità della fede cattolica e della sua concreta applicazione. Ci sono stati casi nella storia in cui le dichiarazioni non definitive di alcuni concili ecumenici - grazie a un dibattito teologico sereno - sono state successivamente perfezionate o tacitamente corrette  (ad esempio le affermazioni del Concilio di Firenze riguardo al sacramento dell'Ordine, nel senso che la materia era la consegna degli strumenti, mentre la tradizione più sicura e costante affermava che  era adeguata l'imposizione delle mani del vescovo : verità, questa, confermata definitivamente da Pio XII nel 1947).

Se dopo il Concilio di Firenze i teologi avessero applicato ciecamente il principio dell'ermeneutica della continuità a questa dichiarazione concreta dello stesso concilio  - una dichiarazione oggettivamente errata, che difendeva la tesi secondo cui la consegna degli strumenti in quanto materia del Sacramento dell'Ordine concorderebbe col magistero costante - probabilmente non sarebbe stato raggiunto il consenso generale dei teologi su quella verità che afferma che solo l'imposizione delle mani del vescovo è materia reale del Sacramento dell'Ordine.

Occorre creare nella Chiesa un clima sereno per una discussione dottrinale su quelle affermazioni del Vaticano II che risultano ambigue o che hanno causato interpretazioni erronee. In una simile discussione dottrinale non c'è nulla di scandaloso, ma al contrario, sarebbe un contributo per custodire e spiegare in modo più sicuro e completo il deposito della fede immutabile della Chiesa.
Non ci si deve polarizzare tanto sul più recente Concilio ecumenico, assolutizzandolo, mentre poi si relativizza la Parola di Dio, sia orale (Sacra Tradizione) che scritta (Sacra Scrittura). Il Vaticano II stesso ha giustamente affermato (cfr Dei Verbum, 10) che il Magistero (Papa, Concilio, magistero ordinario e universale) non è al di sopra della Parola di Dio, ma sotto di essa, soggetto ad essa, e che è solo servo (della parola orale di Dio = tradizione sacra e della Parola scritta di Dio = Sacra Scrittura).

Da un punto di vista oggettivo, le affermazioni del Magistero (papi e concili) di carattere definitivo hanno più valore e peso rispetto alle dichiarazioni di carattere pastorale, che hanno naturalmente una qualità variabile e temporanea a seconda delle circostanze storiche o che rispondono a situazioni pastorali di un certo periodo di tempo, come avviene per la maggior parte delle affermazioni del Vaticano II.

Il contributo originale e prezioso del Vaticano II consiste nella chiamata universale alla santità di tutti i membri della Chiesa (cap. 5 della Lumen gentium); nella dottrina sul ruolo centrale della Madonna nella vita della Chiesa (cap. 8 della Lumen gentium); nell'importanza dei fedeli laici nel mantenere, difendere e promuovere la fede cattolica e nel loro dovere di evangelizzare e santificare le realtà temporali secondo il senso perenne della Chiesa (cap. 4 della Lumen gentium ); nel primato dell'adorazione di Dio nella vita della Chiesa e nella celebrazione della liturgia (Sacrosanctum Concilium , nn 2, 5-10).  Il resto si può considerare in una certa misura secondario, temporaneo e, in futuro, probabilmente dimenticabile, al pari delle asserzioni non-definitive, pastorali e disciplinari dei vari concili ecumenici del passato.
Le seguenti questioni: la Madonna, la santificazione della vita personale dei fedeli con la santificazione del mondo secondo il perenne senso della Chiesa e il primato dell'adorazione di Dio, sono gli aspetti più urgenti che devono essere vissuti nei nostri giorni. Il Vaticano II ha un ruolo profetico che, purtroppo, non è ancora realizzato in modo soddisfacente.

Invece di vivere questi quattro aspetti, una considerevole parte della "nomenclatura" teologica e amministrativa nella vita della Chiesa, negli ultimi 50 anni ha promosso e ancora promuove dottrine ambigue, pastorali e liturgiche, distorcendo così l'intenzione originaria del Concilio o abusando delle dichiarazioni dottrinali meno chiare o ambigue per creare un'altra chiesa - una chiesa di tipo relativista o protestante.
Nei nostri giorni stiamo vivendo il culmine di questo sviluppo.

Il problema della crisi attuale della Chiesa consiste in parte nel fatto che alcune affermazioni del Vaticano II - oggettivamente ambigue o quelle poche dichiarazioni difficilmente concordanti con la costante tradizione magisteriale della Chiesa - sono state infallibilizzate.

In questo modo è stato bloccato un sano dibattito con la necessaria correzione implicita o tacita.
Allo stesso tempo si è dato l'incentivo di creare affermazioni teologiche in contrasto con la tradizione perenne (ad esempio, per quanto riguarda la nuova teoria di un ordinario doppio supremo soggetto del governo della Chiesa, vale a dire il papa da solo e l'intero collegio episcopale insieme al Papa; la dottrina della neutralità dello Stato verso il culto pubblico da attribuirsi al vero Dio, che è Gesù Cristo, re anche di ogni società umana e politica; la relativizzazione della verità che la Chiesa cattolica è l'unico modo di salvezza, voluto e comandato da Dio).

Dobbiamo liberarci dalle catene dell'assolutizzazione e della totale infallibilizzazione del Vaticano II.
Dobbiamo chiedere un clima di sereno e rispettoso dibattito frutto di un sincero amore per la Chiesa e per la sua fede immutabile. Possiamo vedere un'indicazione positiva nel fatto che il 2 agosto 2012 Papa Benedetto XVI ha scritto una prefazione al volume relativo a Vaticano II nell'edizione della sua opera omnia. [vedi] In questa prefazione, Benedetto XVI esprime le sue riserve riguardo a contenuti specifici nei documenti 'Gaudium et spes' e 'Nostra aetate'. Dal tenore di queste parole di Benedetto XVI si può vedere che i difetti concreti in alcune sezioni dei documenti non sono migliorabili dall'ermeneutica della continuità.

Una FSSPX, pienamente integrata canonicamente nella vita della Chiesa, potrebbe dare anch'essa un prezioso contributo a questo dibattito - come desiderava l'Arcivescovo Marcel Lefebvre. La presenza assolutamente canonica della FSSPX nella vita della Chiesa di oggi potrebbe anche contribuire a creare un clima generale di discussione costruttiva, affinché ciò che è stato creduto sempre, ovunque e da tutti i cattolici per 2.000 anni, sia creduto in modo più chiaro e più sicuro nei nostri giorni, realizzando così la vera intenzione pastorale dei Padri del Concilio Vaticano II.[2]
L'autentica intenzione pastorale mira all'eterna salvezza delle anime - una salvezza che si realizzerà solo attraverso la proclamazione dell'intera volontà di Dio (cfr Atti 20: 7).

L'ambiguità nella dottrina della fede e nella sua applicazione concreta (nella liturgia e nella vita pastorale) minaccia l'eterna salvezza delle anime e sarebbe quindi anti-pastorale, poiché l'annuncio della chiarezza e dell'integrità della fede cattolica e la sua fedele applicazione concreta è volontà esplicita di Dio.
Solo la perfetta obbedienza alla volontà di Dio - che ci ha rivelato attraverso Cristo il Verbo Incarnato e attraverso gli Apostoli la vera fede, la fede interpretata e praticata costantemente nello stesso senso dal Magistero della Chiesa -, porterà la salvezza delle anime.

+ Athanasius Schneider,
Vescovo ausiliare dell'Arcidiocesi di Maria Santissima ad Astana, Kazakistan

(Fonte Rorate Caeli )